L'imperio by Federico De Roberto

L'imperio by Federico De Roberto

autore:Federico De Roberto [De Roberto, Federico]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Narrativa, Romanzo
editore: Feedbooks
pubblicato: 1929-07-14T23:00:00+00:00


VI.

Il tempo passava, monotono, e Consalvo rodevasi dall'impazienza. Le prime fortune erano rimaste le sole: l'amicizia dei maggiori uomini politici, le lodi dei giornali, la parte da lui presa nella Cronaca, il suo studio attento, perseverante, instancabile, di cattivarsi simpatie, di rendersi accetto, di mettersi in mostra a Montecitorio, nei salotti, in tutta Roma, non davano i frutti sperati. Durante le vacanze parlamentari di quell'anno egli fu chiamato in Sicilia dalla morte della sua vecchia zia donna Ferdinanda Uzeda. Tutta la sostanza della defunta, ad eccezione di alcuni legati pii, andava a lui: egli s'arricchiva ancora di mezzo milione; e l'altro suo zio, il senatore d'Oragua, era anch'egli per morire, inchiodato sopra una poltrona da un insulto apoplettico. Tornato a Roma, alla riapertura delle Camere, l'erede ricevette una quantità di condoglianze gratulatorie per la sua nuova ricchezza; ma di quei quattrini che erano stati la massima ragione della sua rapida notorietà, sul principio, egli adesso quasi rammaricavasi d'esser possessore, comprendendo che gli riuscivano d'ostacolo, giacché la gente doveva credere che un gran signore tanto ricco non potesse essere anche un'aquila d'ingegno e un'arca di scienza. Riaperto il Parlamento, ricominciata la quotidiana battaglia politica, egli si mise a lavorare a una relazione di cui il suo Ufficio l'aveva incaricato, intorno a un disegno di legislazione sociale. Non lavorava solo, Ranaldi lo aiutava.

Dapprima, la revisione del giovane lo aveva seccato tanto che s'era rivolto alla Vanieri; ma qualche giorno dopo averle consegnato l'articolo, glielo aveva richiesto per aggiungervi qualcosa, e allora s'era sentito rispondere: «Scusate, principe: l'ho dato a Ranaldi». A stento egli aveva frenato un impeto di stizza, gli doleva d'essere stato scoperto da Ranaldi; ma poi se l'era presa con sé stesso, con la propria sciocchezza: bisognava essere sciocco per affidarsi ad una donna, a quella donna! E pensare che, un momento, era stato sul punto di dirle parole d'amore, di farsene un'amante! Ringraziava in cuor suo Grimaldi della presentazione in casa di donn'Agnese: lì le sue velleità d'intrighi galanti e di vincoli matrimoniali s'eran dissipate, provvidenzialmente; ora la Vanieri, le altre, non lo turbavano più, lo lasciavano di sé stesso, come bisognava che fosse. E per correggere l'errore, comprendendo di potersi fidare del giovane, egli aveva ripreso a ricercarne l'aiuto. Ranaldi, capito da sua parte che l'onorevole si sentiva umiliato dalle correzioni fatte di nascosto, ora lo pregava di leggere insieme i suoi scritti; e da quella lettura, dalle osservazioni discrete ma lucide del giornalista egli ricavava un reale profitto, cominciava a scrivere meglio. L'intimità tra loro due s'era accresciuta; e ora Consalvo non scriveva più nulla senza chieder consiglio a Ranaldi. Per la relazione parlamentare questi gli indicava opere, articoli di rassegne e di giornali che potevano giovargli; andava spesso a casa sua, a discorrere dell'argomento, a sentire ciò che egli aveva scritto; e quest'idea di formare uno scrittore, di dirigere gli studii dell'onorevole lo colmava di soddisfazione orgogliosa.

La relazione fu lodata, ma non molto. Consalvo tentava persuadersi che bisogna dar tempo al tempo, che le fortune politiche



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